Listen to your heart

Vittime di un sadico gioco al massacro: il gioco del tempo inesorabile che passa.
Preferiremmo parlare di musica, scrivere di musica, vivere la musica: invece, qui si parla sempre di morti.
E’ ingiusto crescere, entrare nell’era della disillusione, forzati da questa roulette che tira a sorte i nostri idoli e se li porta via, con la prospettiva terrificante di farceli dimenticare.
Per rimanere in tema, perché mi rivolgo a voi , cara Generazione X: il Nulla della Storia Infinita.
D’altronde, l’immaginario comune degli eighties ha creato una cosmogonia abilissima nel produrre miti ed eroi, personaggi e icone, ma non si è risparmiata nel farci digerire ed apprendere con netto anticipo sulla nostra crescita cosa fosse il male; è appropriato, in fondo, generare un immaginario di antagonisti, oltre che di figure positive, talvolta stucchevoli.
Il fulcro, difatti, non è il “malvagio” nella sua forma in “purezza”, bensì la questione temporale.
Tutto è inevitabilmente destinato a finire e sebbene possa sembrare impossibile o inverosimile, quanto prima ci svezziamo e ci prepariamo alla vita vera, quella grigia e noiosa routine alla quale abbiamo invano cercato di fuggire per anni, altrettanto scompaiono i nostri simboli.
E’ il caso di Marie Fredriksson , emblema femminile di un tempo delle mele tutto nostro, cantante ruggente, graffiante e dallo stile inconfondibile dei Roxette .

Una band che rimarrà impressa nelle coscienze musicali e non solo, a cavallo di due generazioni di ragazzi che hanno trovato, tra sonorità rock estremamente semplici e orecchiabili, ed un piglio “fashion addicted” tra il ribelle e l’iconico, un significato bivalente tra spensieratezza e ribellione, potenza e romanticismo, confidenza e anticonformismo, trasgressione e intimità, proprio di un esperimento di certo commerciale ma dal sacrosanto successo in termini di qualità della proposta, talento cristallino e impatto visivo coinvolgente.
Ecco, in breve, cosa fossero i Roxette. Cosa rappresentavano in un momento in cui tutto si svuotava di tutto; loro che, nel porsi come figure apparentemente semplici, davano forma e contenuti proporzionati e rendevano grazia ai capisaldi di una musica prima di tutto da suonare dal vivo, davanti a chi li ha amati per trent’anni.
Vendersi ma non svendersi, niente di più difficile.


Marie se ne va via troppo presto, ed è ingiusto come è ingiusto per chiunque debba trovarsi davanti ad una sfida ignobile ed impari, quella di combattere contro un tumore al cervello per diciassette anni. Due figli le sopravvivono, e questa è un’altra ingiustizia imperdonabile di quel destino che, possiamo aver ragione di credere, inizi a farcelo apposta.
Marie cantava da Dio; Marie era una figura imponente e maestosa, al confronto del nanismo artistico da cui siamo circondati, tra talent show ed urlatrici al servizio dei produttori. Marie, su un palco e dentro al tubo catodico (fondamentale marchio di fabbrica dei Roxette, il loro lavoro e impegno nel proporsi all’interno di indimenticabili videoclip) giocava alla perfezione il suo ruolo di equilibrista tra arte e spettacolo, tra performer e cantante, tra rocker e influencer ante litteram.
Perché quello che racchiudeva l’arte di Marie era tutto vero .
Perché lei, e tutti noi ragazzini inebetiti da Mtv, ascoltavamo il cuore.

LISTEN TO YOUR HEART.


Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *