C’è un legame per niente geografico tra Lecco, Bergamo e la Brianza. Sono “venti chilometri di asfalto” fatti di emozioni, ricordi ed esperienze. Una provincia tutta sua, tutta da raccontare, tutta di Maurizio Pirovano.
Un’esistenza dalla quale tutti cercano di fuggire, prima o poi, ma che nel profondo riassume tutto ciò che siamo; sono le nostre radici, le nostre quotidiane stranezze, il nostro tessuto più intimo. Ed è comune a tutti, nella nostra Penisola, meravigliosa se scoperta piano, con delicatezza, al chiarore di un’alba che ha il suono di sei corde tese sul corpo ligneo di una splendida chitarra. Maurizio ci racconta la condivisione di queste emozioni, attraverso il significato stesso della musica: essere testimoni della nostra, per quanto piccola possa essere, Storia. Anche lui voleva scappare. Ora, al compimento del suo quaranticinquesimo compleanno, mi spiega al telefono, in un tardo pomeriggio di domenica, con la disponibilità e la spontaneità di un caro vecchio amico, che si può viaggiare in un’infinità di modi; con la musica, la poesia, le storie. Con l’elemento fondamentale proprio dell’artista: la fantasia.
Ed è proprio l’immaginazione lo strumento d’eccezione nel metodo compositivo di Maurizio Pirovano, che descrive se stesso come un vero e proprio “cantautore” nella migliore tradizione italiana.
Mi confessa con un candore struggente che in questo periodo è felice .
E sento che è la verità più pura, densa di significato, perché densa di esperienze e di vissuto con la testa alta e con la forza di chi la vita l’ha presa a morsi fin dal primo istante in cui ha compreso che poteva raccontare al mondo tutto ciò che aveva dentro.
In questo periodo, Maurizio sta ultimando il suo ultimo album, un disco che sarà, ci assicura, diverso dagli altri, e del quale dopo avremo modo di disquisire con maggiore attenzione, ma, ormai presi da un flusso di coscienza spontaneo e sinergico, entriamo in sintonia e capiamo che non c’è nessun “cantante da intervistare”, ma solo una splendida conversazione senza alcuno schema. Torniamo dunque sul concetto di”immaginazione”: “nel mondo di oggi la gente pensa di andare su internet e scoprire il mondo” , mi racconta con una punta di amarezza Maurizio. “oggi invece è proprio l’immaginazione che manca, perché in realtà questo splendido mondo non lo conoscono affatto””.
Mi spiega con singolare e responsabile attenzione, ed io non posso che concordare, rimanendo silente dall’altra parte della cornetta, che le nuove generazioni sono “native digitali” e hanno vissuto un’esistenza intensa sì, ma del tutto dipendente dalla tecnologia e dalla rete, così da ritrovarsi senza gli strumenti di discernimento naturali, “analogici” ed emotivi per interpretare la realtà.
Perché fa sempre piacere vedere se stessi su una pagina Wikipedia; è un ottimo attestato di stima e di riconoscenza verso ciò che abbiamo fatto per il mondo, ma la vera riconoscenza, il vero certificato, la vera sfida con la propria arte e con i propri demoni è e sarà sempre sul palco, davanti alle vere persone, in carne ed ossa, pronte a batterti le mani o a mostrarti senza filtro la loro critica più impietosa.
Maurizio Pirovano ha iniziato a scrivere, più o meno come tutti coloro che sono introversi ma dentro hanno un universo sconfinato di poesia, relativamente tardi. La musica dentro le sue vene è arrivata intorno ai vent’anni, e poi è rimasta chiusa tra quattro mura per un’altro decennio, come fosse in maturazione, nella preziosa cantina dei pensieri e della coscienza. A trent’anni c’è chi dice che sei un uomo; beh, forse chi lo asserisce non conosce la nostra generazione, la “terra di mezzo” che non potrà mai più essere adolescente ma che nemmeno potrà mai crescere e diventare tristemente adulta o frustrata. Questo per chiarire che nel limbo della X – Generation (noi che siamo cresciuti nella grande confusione tra l’avere idoli venerati e recitare lo slogan “kill your idols”), emergere a trent’anni non deve destare alcuno scalpore.
Maurizio era pronto ad “alzare la mano”, a prendere il suo posto tra coloro che impugnano il coraggio e la chitarra e senza più alcun filtro soddisfano l’irrequieto bisogno di raccontare se stessi e la propria immaginazione; regalarla al prossimo, mettere il proprio io nelle mani di un pubblico, con la speranza assoluta, il fine ultimo, che ciò che abbiamo lasciato su questa terra rimanga anche dopo di noi.
Perché un artista è tale solo se la sua arte sopravvive nella memoria collettiva.
Lasciata ai posteri.
E dal 2005 possiamo ben dire che Maurizio ci ha preso gusto, non fermandosi letteralmente più. E tutt’oggi, ogni giorno, sempre di più, si mette in gioco. Perché a fare l’artista non si acquisisce esperienza o si affina una qualche particolare tecnica: ogni volta che ci presentiamo in pubblico, che mostriamo il nostro “messaggio” da donare al mondo, ricominciamo da capo, nudi e indifesi contro tutto ciò che c’è là fuori, e come sempre al vaglio del nostro giudice e critico più severo: noi stessi.
I primi tre dischi testimoni della carriera di Pirovano sono passati, per sua stessa ammissione, più o meno inosservati, eppure (io gli ho sentiti, eccome se gli ho sentiti), sarebbe giusto dire “ingiustamente”; ma questo è il vero prezzo da pagare per chi fa musica con lo spirito intriso di passione: la moneta da utilizzare per questa transazione si chiama perseveranza .
Ecco come si faceva una volta, ecco come si fa oggi se la musica la si interpreta con sincerità d’animo; con la vecchia, cara e utilissima gavetta .
Così capita che arrivi il quarto disco, nel 2017, dal titolo profetico “Il tempo perduto””.
Così capita che si arrivi ad una chiave di volta e che le cose cambino drasticamente, magari senza che tu riesca nemmeno a rendertene conto.
Ecco 2 edizioni del Pistoia Blues, concerti ed eventi in tutta Italia, esibirsi alla Partita del Cuore, la Rai!
…and justice for all, direbbero da qualche parte.
Ma Pirovano non si scompone, mai. Non un’ombra di rilassamento, di spocchia o di rivalsa, nella sua voce.
E subito torniamo alla stesura del nuovo album, un album dove Maurizio mi fa entrare in punta di piedi, spiegandomi con grande trasporto che qualcosa doveva cambiare, ed è cambiato: a seguito di dovute considerazioni sia artistiche che personali, Maurizio ha trovato opportuno differenziare ciò che porta sul palco davanti alla gente da ciò che registra in studio, conservando però il delicato equilibrio della coerenza, senza dunque snaturare quel rapporto sincero e diretto che è insito nell’animo compositivo dell’autore stesso.
Non si deve venire a patti con nessuno, sia chiaro, ma si deve saper coniugare l’innovazione con la propria natura ed il proprio immaginario.
Per questo, dentro al nuovo disco ci saranno contenuti elettronici, saranno introdotti arrangiamenti con tastiere, hammond e quant’altro possa arricchire, aggiornare, diversificare, la grande storia che Maurizio ci sta raccontando da quindici anni.
E’ il percorso dell’uomo ed esso, senza ombra di dubbio, ha il dovere, se non altro, di evolversi.
La speranza, comunque, è sempre quella: che le canzoni di Pirovano sopravvivano a Pirovano.
Un esempio reale, tangibile ed intimamente umano: un genitore si presenta da Maurizio alla fine di un concerto e gli dice con grande orgoglio che suo figlio ascolta sempre i suoi dischi. Una soddisfazione senza eguali, per chi sogna che le proprie composizioni durino nel tempo, oltre il suo tempo.
Perché una volta consegnate al mondo, se le tue canzoni vivono in qualcuno, è il massimo, è l’aspirazione giunta a compimento.
“Perché una qualsiasi manifestazione artistica, sia essa musica, pittura, scrittura, scultura, possiede il dovere di essere vissuta, criticata, giudicata, amata o odiata dagli altri”.
L’importante, è che sia ricordata.
Questo è il compito di un artista: lasciare un segno.
Oggi è quantomai difficile. Perché tutto pare già immaginato. L’intrattenimento è fruizione passiva e condizionata, è un’arte già digerita che viene propinata ad un pubblico giovane che, come dicevamo in precedenza, non ha gli strumenti per assimilare con spirito critico.
I ragazzi leggono sempre meno e ingurgitano, fagocitano, quantità di materiale e informazioni alla velocità della luce; tutto astutamente già preconfezionato e pronto all’uso.
Ci sono sempre meno poeti, cantautori, artigiani, meno gente che suona nei locali.
E perché? Perché pare che la terra ci scappi da sotto i piedi, perché non c’è tempo per capire, tempo per fermarsi e ascoltare. Figuriamoci osservare.
Con il suo grande rispetto e la sua granitica educazione, davvero di una squisitezza ormai rara, Maurizio mi recita questa frase : ” La TRAP è l’emblema del disimpegno”.
Quanto impegno ci avrà messo per non dire di peggio! Io, di certo, non ci sarei riuscito a mantenere tale flemma.
Perché Pirovano è così, è un’anima gentile che non alza mai i toni, ma non le manda certo a dire. Perché ha le idee chiare. Chiarissime.
Dicendo che non esistono più canzoni generazionali coglie nel segno. Disegna un affresco disilluso ma non sconfitto, eppure ha ragione da vendere: manca una canzone “emblematica” per i nostri tempi. E così, noi della generazione “terra di mezzo” , che abbiamo la testa piena di inni memorabili per ogni attimo della nostra vita, ci chiediamo dove andremo a finire.
Il fatto è che oggigiorno siamo sovraesposti e allora è stato fantastico festeggiare il compleanno di Maurizio così intimamente, così da vicino, a bassa voce, senza voler per forza autocelebrarsi con chiacchiere futili al sapore di incenso e dense di compiacimento effimero.
Qualcuno, non di certo io, gli ha chiesto, durante non so quale intervista: “Perché scrivi canzoni?” . “Perché ne ho bisogno, perché devo mettermi in gioco; è l’unica cosa che sò di dover continuare a fare” gli rispose Maurizio.
Ed è stato lui, oggi, a farmi un regalo, non il contrario. Mi ha detto che siamo in sintonia, e per me questo è il miglior attestato di stima che si possa ricevere da un artista che è sicuro che …”se i sognatori smettono di andare in giro a suonare, dopo non rimarrà più niente”.