Speculare sulla sua morte sarebbe uno sproloquio indegno e vergognoso.
Ciarlare della sua carriera sarebbe banale e semplicistico.
Disquisire sull’uomo, oltraggioso e vile.
Cosa può rimanere da dire, infine, su Luigi Tenco?
Ogni volta che vedo una sua fotografia o leggo qualche sua parola sorgono in me tante di quelle domande che la testa diventa pesante, la mente confusa, e le certezze vacillano.
Non mi resta che ascoltarlo.
I dubbi si dissipano come nubi sull’oceano la mattina dopo una violenta tempesta.
Certo, la rotta non la conosciamo, ma almeno possiamo navigare.
Tra le emozioni e le suggestioni, sospinti dal vento della ragion pura, l’idealismo, l’arte per l’arte e niente più.
E di Tenco abbiamo un’eredità che assume il gesto responsabile del dovere.
Dobbiamo proteggere la sua figura e il suo lascito; dobbiamo combattere affinché la purezza della sua composizione sia custodita, in salvo dalle scorie del pensiero comune e della chiacchiera, dalla fame di notizia, dalla dietrologia spicciola e infame.
Come con i testi sacri, abbiamo il preciso dovere di suddividere l’umanità in accoliti ed esegeti. Ma con il senso della misura di non adorare un uomo che non avrebbe mai voluto essere adorato.
E’ difficile, lo so.
E’ quasi impossibile.
Ma del resto, Tenco non avrebbe voluto che fosse nemmeno facile.
“Andare via lontano
A cercare un altro mondo
Dire addio al cortile
Andarsene sognando
E poi mille strade grigie come il fumo
In un mondo di luci sentirsi nessuno
Saltare cent’anni in un giorno solo
Dai carri dei campi
Agli aerei nel cielo
E non capirci niente e aver voglia di tornare da te “
Luigi Tenco – Ciao amore, ciao
1967