Intorno ai vent’anni subiamo un’involuzione circa la nostra necessità di conoscenza. Il regolare sviluppo intellettivo muta e volge verso la ricerca di ciò che di estremo ci concede la natura circostante, pertanto ci prodighiamo in una serie di scelte alquanto insensate e prive di coscienza al fine di soddisfare questa pulsione atta ad oltrepassare il limite o perlomeno a verificare dove sia situato il confine morale, fisico e mentale dentro di noi.
Accade con la sessualità, lo sport, la velocità, lo studio, i viaggi, il sonno: sfidiamo ogni elemento per spingerci oltre, per assaporare il rischio, per dimostrare a se stessi e agli altri che si può, anzi si deve, lasciare un segno.
In taluni casi nascono campioni, artisti e detentori di record, in altri si producono pazzi, illusi, depressi e morti.
Ma c’è livello e livello di questa costante, e per ogni Ayrton Senna o Buzz Aldrin, esistono milioni di persone qualunque che hanno il diritto di concorrere alla propria emancipazione estrema.
E’ il caso del sottoscritto, che a vent’anni non coltivava di certo mire olimpioniche ne tantomeno rivoluzionarie teorie scientifiche: un sedentario, ordinario, annoiato, abrutito, abulico Oblomov di provincia, prodotto perfetto del nuovo millennio, abbracciato a comode sicurezze irrinunciabili quali divano, Playstation, stereo e cibo takeaway. Mi vedo ancora, vent’anni fa come se fosse l’altro ieri, in seria difficoltà con la ricerca del mio limite, troppo impegnato in facezie onerose come l’abuso di cannabis e di videogiochi; eppure dentro di me ribolliva con degno ardore una lava, un movimento tellurico vibrante di rabbia e insoddisfazione, una poderosa carica di odio, un’intollerante depressione determinata dalla repressione e dalla frustrazione del proprio sentimento primitivo.
L’unica via d’uscita per questo lato oscuro: la musica.
Ed è tramite quella che sono sempre vivo; posso assicurarlo. Ed è ancora grazie alla musica che ho incanalato in maniera sufficientemente salvifica la mia sfida al limite.
Ho cercato l’estremo nella musica estrema.
Dopo qualche mese in cui mi dedicavo, senza troppo successo interiore, senza appagamento alcuno, all’ascolto di Black Metal – non bastava l’Inner Circle norvegese dei bruciatori di chiese come i vari Darkthrone, Mayhem, Morbid, Dark Funeral, Satyricon, Emperor, Limbonic Art, Borknagar e compagnia bella – e altrettanto infruttose incursioni nel Brutal Death e nel Grindcore più cacofonico (Deicide, Cannibal Corpse, Morbid Angel, Helmet, Naked City, Fugazi, ecc.), mi trovai ad un punto morto, ad un binario cieco, dinnanzi al doloroso dubbio che forse lo sconfinato mondo delle sette note non fosse abbastanza per ciò che ribolliva nella mia anima.
Ma, prima di optare per l’opzione serial killer sadico, decisi di dare un’ultima opportunità alla musica, una compagna troppo fedele per tradirla con un banale coltellaccio da cucina; istintivamente, uscii di casa e mi diressi verso il fidatissimo negozio di dischi gestito dal mio mentore in fatto di suono: René.
Il mio ego e la mia recalcitranza alle figure autoritarie mi avevano portato ad un periodo da autodidatta musicale ma presto compresi di aver commesso un errore fatale: avevo disperatamente bisogno di quella saggia guida astrale che negli anni mi aveva spalancato le porte del paradiso fonico: è grazie a René se avevo concimato la mia formazione con Robert Wyatt, Black Sabbath, David Bowie, Deep Purple, Nick Cave, Brian Eno, Iggy Pop, Lou Reed, Suicide, Peter Gabriel (indimenticabile la vetrina per l’uscita di OVO), e migliaia di altri artisti straordinari in grado di cambiare la vita a qualsiasi giovanotto del globo fornito di orecchie funzionanti e animo vibrante.
Ebbene, l’aridità dell’Heavy Metal aveva prosciugato la mia essenza e cospargendo il capo di cenere, pieno di quella vergogna che lacera chi ha orribilmente peccato di superbia, varcai la soglia del negozio e chiesi lumi, chiarezza, una visione ampia e necessaria, al fine di scoprire dove spingermi, verso quale lido puntare la nave, per giungere all’esplorazione interiore mediante la completezza della musica estrema.
Con mia grande sorpresa, ma sostenuto da una fiducia cieca, anziché consigliarmi banalmente un disco o suggerirmi una band, egli mi raccontò una storia che la dice davvero lunga sul concetto di “estremo” e della sua relatività.
Oggi quella storia, come in una sorta di simbolico passaggio di testimone, la racconto io a voi:
E’ bene prima rimarcare il concetto che la mia mente fosse discretamente disturbata e che a rigor di logica le suggestioni estreme che vagavo cercando avrebbero dovuto appartenere ad un contesto artistico/culturale di ispirazione grandguignolesca, specie se si considera il fatto che da adolescente passavo gran parte dei miei pomeriggi in compagnia di un amichetto altrettanto particolare con il quale ergevamo ambigui altarini pseudo satanici con pezzi di chitarre sfasciate con violenza, sassi inscritti con blasfemie in latino e altre cazzate similari (impressa nella memoria collettiva della mia piccola città di provincia, la celebre sequenza di bestemmie urlate dalla finestra al passaggio della processione).
Così; un inciso che ritengo indispensabile alla comprensione del perché mi sia così tanto esaltato nal sentire tale racconto.
Bene, dicevamo la storia. Eccola qua:
Intorno al 1970, a New York, venne indetto al Museo Guggenheim, diretto personalmente, all’epoca, da Peggy Guggenheim, un happening artistico dedicato all’improvvisazione.
Furono dunque coinvolte le massime figure artistiche che si occupavano della nascente espressione contemporanea chiamata “Performance”, nella quale appunto l’esecutore si metteva al centro stesso dell’opera, dandole vita in prima persona, lungo appunto una performance
dal vivo, estemporanea, naturalmente improvvisata.
Nomi come Andy Warhol e i membri più rappresentativi della sua Factory, Marina Abramovic, Ulay, Jasper Johns furono gli autentici protagonisti di questo straordinario evento svolto nella sala principale riservata alle arti visive contemporanee; ma fu la grandissima affluenza di autori emergenti che rese dinamica ed estremamente variegata, riuscitissima, la rassegna.
Volti assolutamente sconosciuti si cimentarono in interessantissime perfromance tra colori, recitazione, denuncia politica, attivismo, poesia, musica e nuove tecnologie, per un plauso definitivo di critica e pubblico. Un momento di grande attualità storica, una geniale testimonianza dei tempi che solo la grandezza e l’acume di Peggy Guggenheim potevano ideare. Ebbene, quella sera successe l’incredibile. Se risultava evidente, tra le varie performance inusuali e spinte, che la libertà regnava assoluta e la censura sarebbe rimasta categoricamente fuori dalla porta, in favore della massima espressività degli artisti, qualcuno riuscì a sconvolgere gli astanti, a rovinare tutto, a portare oltre il limite il concetto di estremo: furono due individui giovanissimi, apparentemente del tutto incapaci in qualsiasi disciplina artistica. Una figura femminile inebetita, dallo sguardo vitreo, alta e magrissima ed una creatura senza un delineato genere sessuale: grottesca e assente. Di lei, nessuno si ricorda il nome; dell’altro, l’essere asessuato, si sapeva solo che veniva da Londra e che si chiamava Genesis P. Orridge.
Costoro, che tutto erano fuorché artisti, o almeno non ancora catalogabili come tali poiché ancora non esisteva una forma d’arte che potesse includere la loro NON performance, probabilmente non erano stati nemmeno invitati; ma di certo la loro singolare immagine, così pittoresca nel vestiario improbabile e così stralunata in quelle facce tanto folli da apparire terribilmente vere, rese possibile un loro inglorioso e disastroso ingresso all’happening più IN di tutta Manhatthan.
Conquistarono il centro della stanza e già visibilmente sotto l’effetto di sostanze stupefacenti e di una generosa porzione di alcol, si posizionarono l’una sdraiata, seminuda, l’altro in piedi, sopra di lei. Egli, esso, insomma, quel che era, estrasse una bottiglia di Wiskey ed iniziò a berla tutta d’un fiato; giunto all’incirca a metà, già nauseato da qualche ora a causa delle evidenti e pietose condizioni in cui verteva, principiò ciò che secondo loro fosse la performance d’improvvisazione per eccellenza: vomitare sopra la ragazza. E poi pisciare sopra la ragazza. La quale riceveva come catatonica, come un manichino, ogni umore secreto dall’altro.
Fine della performance. Non riuscivano neanche a parlare da quanto erano strafatti e sbronzi. Inizia un brusio, poi un vocio, infine qualcuno tenta di farli rivestire, di allontanarli, di sbatterli fuori: diamine, questa non è arte!
E loro rispondono con molestia assoluta, con un nichilismo subumano, incivile, degradante, dando uno spettacolo osceno tra vestiti strappati, altre vomitate, urla, rutti, bestemmie, fino alla loro impietosa uscita di scena, fuori dalla porta del Guggenheim.
Ebbene, cosa c’era di estremo in tutto questo? Era la domanda che si posero gli artisti presenti, i quali, di certo non scandalizzati, ebbero da che discutere sul fatto che quella niente avesse a che fare con la cultura, con l’attività artistica, perché era vuota , priva di qualsiasi contenuto.
Ecco cosa accadde quella sera: i Throbbing Gristle, così si chiamava il collettivo a cui appartenevano la strana e informe ragazza e l’enigmatico Genesis P.Orridge, portarono all’attenzione dell’Intellighenzia il vero scandalo che la società avrebbe sperimentato e vissuto tristemente da lì a poco.
Il NIENTE . L’avvilente senso dell’orrido fine a se stesso, il gusto dell’eccesso solo per il piacere dell’eccesso, l’azione senza significato, il significato senza significante; la violenza, la volgarità, l’esagerazione priva di contenuto, di condanna, di denuncia, di senso. Tutto senza nesso; inutile, scevro di personalità. Estetismo nella bruttezza. Soddisfazione nel provocare reazioni negative. Creare imbarazzo. Un imbarazzo infantile, inutile e degradante.
Piaciuta, vero? Se siete come me, siete rimasti semplicemente estasiati da tutto questo schifo. E state già digitando su Spotify le parole “Throbbing Gristle” per sentire quale orrore potrebbero aver partorito sottoforma di gruppo musicale.
Posso garantirvi che è così.
Negli anni avvenire, ovviamente Genesis P. Orridge fu riconosciuto come il genio che era e non per la performance di quella sera al Guggenheim, quello stravagante mix di urban legend e Gonzo journalism che ho raccontato, ma per aver tradotto in musica il concetto di futuro così pessimo, ignobile, materialista, cretino e infame che calava come una scure sull’avvenire di tutti. Il suo progetto Throbbing Gristle proseguì negli anni dando vita ad un vero e proprio genere musicale, col tempo mutato come mutaì la realtà, la società, il sistema in cui si sopravvive: l’INDUSTRIAL . La sperimentazione e lo scandalo rimarranno costanti, anche con la successiva avventura chiamata Psichic TV, che durerà fino alla fine. Musica grottesca, sadica, impietosa.
Sonorità elettroniche, campionamenti appunto provenienti dai rumori più sgradevoli, quelli che si sentono nelle fabbriche, dove la produzione annienta la personalità e non resta nulla di umano; testi senza alcun senso, ricolmi di oscenità e di brutture linguistiche, distorti da potenti effetti vocali destinati a creare una sempre più difficile comunicazione fino al definitivo mutismo emotivo, il fine ultimo della musica di questo artista poliedrico e straordinario, eccentrico e intelligentissimo, sadico e falso, illogico e incomprensibile, geniale e fine a se stesso.
Ha usato il suo corpo, le sue membra, la sua faccia, ogni parte di sé per le sue performance, per creare e disfare: per essere la forma stessa della sua arte.
Dapprima uomo, poi transessuale, transgender, ermafrodita, infine donna. Il suo desiderio era forse giungere ad una sessualità industriale, meccanica, robotica, chi può saperlo. Il corpo mutante, la mente sovversiva. Ci ha lasciati dopo una lunga malattia, a settant’anni.
Chissà come è morta, Genesis P. Orridge. Sono sicuro che da dovunque adesso sia, è ben felice di vedere che sono qui a fantasticare in maniera morbosa su come è defunta.
E questo è tutto quello che so sulla musica estrema.
P.S. Dopo aver ascoltato i Throbbing Gristle, ho scoperto un sacco di musica davvero estrema. Provate a spingervi oltre, ad ascoltare qualcosa che ha cambiato e soprattutto letto il mondo trenta o quaranta anni prima dei tempi; vi lascio una breve lista:
Van der Graaf Generator
Cabaret Voltaire
Amon Duul II
Kraftwerk
Skinny Puppy
Einsturzende Neubaten
Swans
Killing Joke
Coil