Generazione X

Mi verrebbe da dire “purtroppo” ma in fondo un po’ la cosa mi esalta. Il senso del marcio, il gusto per l’orrido che contraddistingue l’essere umano è sostanza debordante in me. Specialmente quando si intende far parte di una ristretta cerchia, un Fight Club, di sfigati contemporanei. Il tempo e le generazioni che si dissolvono attraverso la stratificazione sempre più rarefatta della noia e del disimpegno; il culmine dell’ignoranza.
Il disinteresse. Per il futuro, per la vita, per ciò che ci circonda.
Tutto si svuota di concetto e il senso di appartenza si ottunde sfocato alla ricerca di un sonno inconsapevole. E’ il suicidio dell’anima attraverso la merce e la momentaneità delle situazioni.
Tutto, in definitiva, ci sfugge.
Ecco, ontologicamente, cosa accade nella testa di noi rincoglioniti over trenta che possiamo definirci con orgoglio “Generazione X”.
Perduti millennials che raggiungevano la maggiore età nell’anno Duemila. Come l’anno Mille, ma senza fine del mondo, peste e paura. Come l’anno mille, ma senza che a nessuno fregasse un cazzo di niente.
Molto più facile. Molto meglio ascoltare la musica, quella musica moribonda come il genere umano e le metropoli, quella musica che implode in se stessa e che si risolve nel niente. Quella musica che proprio lì, a cavallo tra novanta e nuovo millennio, dette l’ultimo battito d’ali.
Probabilmente era già andata da una ventina d’anni ma cosa posso dirvi? Si percepisce un grido d’aiuto nel sound di fine Novecento. Ed è chiaro che questo SOS veniva dall’animo contorto e distorto, il grido sommesso e deprimente di coloro ai quali tale musica era destinata: noi, quel popolo di idioti funzionali già ben attaccati allo spinotto del computer, densi come piombo, saturi di violenza e di odio, pronti a far cosa? Niente: nessuna rivolta, nessun disordine, nessuna rivoluzione. Solo una meschina, patologica apatia al fine di negare tutto, contro tutto, soprattuto contro se stessi.
Perché in fondo il tratto distintivo della Generazione X è proprio questo: noi ci facciamo schifo. E’ tale il nostro disprezzo per chi non ci capisce che finiamo per odiare anche chi vediamo allo specchio. E’ narrazione speculare di una disparità sociale che riguarda il benessere e quindi noi stessi. Triste ma vero. Noi siamo autentica feccia ingorda e inebetita.
E’ evidente che un colpo di genio possa emergere da tale fertile terreno depressivo e ipomaniacale. L’ossessione per l’odio senza poter sfogare l’odio.
Uniche eccezioni: stragi nelle scuole e suicidio. Gli estremi rimedi di una comunità giovanile colpita da bullismo sistemico. Per usare parole più semplici: chiunque è il bullo della Generazione X. D’altronde siamo i primi non più obbligati a fare il militare: da qualche parte, qualche calcio nel culo andrà pure preso.
Ed ecco che oggi, svegliandoci dal torpore dell’inutilità di un futuro inconsistente, ci guardiamo indietro e scopriamo che non è stata proprio così merda, la merda che ascoltavamo per deprimerci o per uccidere i mostri alla Playstation.

Perché mi sovviene proprio questo? Perché è morta Elisabetta Imelio, cazzo.
E non esiste che una persona se ne vada a 44 anni, così come non esiste che una ragazza soffra le pene dell’inferno. Perché noi della generazione X condividiamo anche un altro problema, come se ne avessimo già pochi da spartire: la negazione. La negazione più totale per il distacco, la fine, gli addii. Non sappiamo relazionarci quindi non sappiamo neanche affrontare la separazione; se stiamo insieme è per sempre. Se siamo giovani è per sempre. Se siamo sani è per sempre. Se siamo musicisti, fumettisti, poeti, artisti è per sempre. Però siamo incapaci di mettere il punto alla fine della frase. Di arrivare al capolinea e sviluppare una qualsiasi forma, anche rudimentale, di conclusione. Non riesco ad usare proprio le parole che vorrei, perché è qualcosa di radicato dentro la nostra testa e sembra così naturale. Insomma ti guardi intorno e Elisabetta non c’è più e ti chiedi allora: quanto tempo è passato dai Prozac +? Da quando urlavamo Acido/Acida facendo ridicole risatine sommesse e nasali poiché consci del significato dietrologico che si celava nel brano? Noi, una ristretta cerchia di eletti che ci capivamo col nostro linguaggio arcano.
Sono passati poco più di vent’anni: un abisso o un attimo, tanto è la stessa cosa. E tutto quel che c’è stato nel mezzo? Fra una canzone e la morte? E’ finito nel niente, come tutto il tempo che siamo soliti perdere quandi siamo convinti di averne una riserva infinita.
Ed è la stessa sensazione che provai l’anno scorso, esattamente un anno fa, quando ho letto che Keith Flint non era più su questo mondo di merda: negazione.
I Prodigy? La band più attuale, futuristica, contemporanea, omnicomprensiva di tutte? Come cazzo ha fatto a finire qualcosa di proiettato nell’avvenire? E’ un paradosso della fisica, dai. Eppure è così, erano vent’anni fa e se n’è accorto anche Keith e allora sai che c’è? “Tanto domani m’ammazzo”, diceva il Conte Mascetti. E suicidarsi forse è proprio così: prendere possesso fino in fondo della propria esistenza e scegliere di porvi fine nel momento in cui la tua appartenza a questo universo non ha, per la tua idea di vita, più senso. Ma come si fa a spiegare un gesto del genere? Negazione.
Mentre, vedi? La malattia di Elisabetta, per la quale si è battuta come una tigre ogni giorno con cooperative, associazioni e tante, tantissime campagne, è una merda che ti prende all’improvviso e che va del tutto contronatura, altro che contro lo spirito pavido della Generazione X. Ma vaffanculo, non si deve morire.
Non oggi, non ancora.

Scegliete la vita
scegliete un lavoro
scegliete una carriera
scegliete la famiglia
scegliete un maxi televisore del cazzo
scegliete lavatrice, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici.
Scegliete la buona salute, il colesterolo basso, la polizza vita
scegliete un mutuo a interesse fisso
scegliete una prima casa
scegliete gli amici
scegliete una moda casual e le valigie in tinta
scegliete un salotto di tre pezzi a rate ricopritelo con una stoffa del cazzo
sceglietevi il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina
scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare,
alla fine scegliete di marcire
di tirare le cuoie in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi
scegliete un futuro
scegliete la vita.
Ma perché dovrei fare una cosa cosi?
Io ho scelto di non scegliere la vita
ho scelto qualcos’altro
le ragioni?
Non ci sono ragioni…
chi ha bisogno di ragioni quando ha l’eroina?”

Mark Renton
TRAINSPOTTING – 1996

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