“Ma io sono un cornuto divorzista, un assassino abortista, un infame traditore della patria con gli obiettori, un drogato, un perverso pasoliniano, un mezzo-ebreo mezzo-fascista, un liberalborghese esibizionista, un nonviolento impotente. Faccio politica sui marciapiedi.”
“Io amo gli obiettori, i fuorilegge del matrimonio, i capelloni sottoproletari anfetaminizzati, i cecoslovacchi della primavera, i nonviolenti, i libertari, i veri credenti, le femministe, gli omosessuali, i borghesi come me, la gente con il suo intelligente qualunquismo e la sua triste disperazione. Amo speranze antiche, come la donna e l’uomo; ideali politici vecchi quanto il secolo dei lumi, la rivoluzione borghese, i canti anarchici e il pensiero della destra storica. Sono contro ogni bomba, ogni esercito, ogni fucile, ogni ragione di rafforzamento, anche solo contingente, dello Stato di qualsiasi tipo; contro ogni sacrificio, morte o assassinio, soprattutto se rivoluzionario.”
“Non credo nelle ideologie, non credevo nelle ideologie codificate e affidate ai volumi rilegati e alle biblioteche e agli archivi. Non credo nelle ideologie chiuse, da scartare e usare come un pacco che si ritira nell’ufficio postale. L’ideologia te la fai tu, con quello che ti capita, anche a caso. Io posso essermela fatta anche sul catechismo che mi facevano imparare a scuola, e che per forza di cose poneva dei problemi, per forza di cose io ero portato a contestare.”
Potremmo andare avanti per ore, giorni, mesi e anni, estrapolando le frasi di quest’uomo che ho distrattamente conosciuto quando ero troppo piccolo per comprenderne la grandezza. Era altissimo, imponente, delle mani enormi; questo lo ricordo bene. Si ergeva tra la folla, nella piazza antistante il Teatro della mia città, laddove avrebbe, presumo, parlato. Mio padre, uomo di valori, membro di una classe politica e amministrativa di un tempo che non c’è più, in possesso di un senso dell’abnegazione, di un sentimento civico, anch’esso oggi estinto, fu ben felice di portarmi con sé ad assistere alle parole di un “grande signore che si batte per la nostra libertà e perché tu abbia un futuro” – parole sue – e io non capivo, frastornato da tutta quella gente in giacca e cravatta, perché di certo non era cosa per un bimbo, ma mio padre aveva ben chiaro l’intento di imprimere nella mia coscienza ignara una serie di fenomenologie che probabilmente, assistendovi passivamente, avrei carpito attraverso l’inconcio. E con grande gioia, mi portò dinnanzi alla figura più degna di stima, di rispetto, di ossequio; raccomandando la massima gentilezza e la più irreprensibile educazione, pieno di orgoglio richiese l’attenzione di questo gigante. I due scambiarono qualche parola e d’un tratto “questo è mio figlio”.
La montagna di fronte a me si chinò, aprì la sua bocca in un grande sorriso sincero, mi porse, come ad un suo pari – ad un adulto – la mano tesa: grande, ampia, calda, asciutta, immensa.
Strinse forte.
Mi trasmise una sensazione estremamente positiva.
Degli occhi che sembrano ghiaccio; penetrano i pensieri, comprendono tutto lo scibile dell’animo di chi gli sta di fronte e anche qualcosa di più. Sono gli occhi di un uomo che ha condotto le più grandi battaglie civili in nome del popolo di questo Paese, così martoriato da paletti invisibili che ancor oggi tengono a freno lo sviluppo intellettuale ed emotivo di un’intera nazione.
Passeranno gli anni prima che io capisca chi sia Marco Pannella.
Non sono certo così presuntuoso o sciocco da pensare di averlo capito.
Nessuno può capire il grande disegno che albergava nell’animo di Pannella.
Nessuno può capirlo perché la sua opera procede oltre la sua morte.
E’ una eterna incompiuta, michelangiolesca, rinascimentale.
E’ un processo mentale non solo transnazionale, ma anche e soprattutto transgenerazionale.
Può e deve essere sviluppato, cambiato, dilatato, ampliato.
Ma il seme di Salvemini, di Spinelli, principalmente il seme di Pannunzio, sono cresciuti nel fertile terreno di Pannella, dove il pensiero libero, la prospettiva alternativa, sono diventati una pianta forte, robusta, con un fiore meraviglioso.
Il fiore radicale.
La tutela e la conservazione di tutte le specie umane in via di estinzione.
La bellezza del diritto intesa come processo di evoluzione umana.
E le eterne battaglie che hanno segnato la vita di un uomo, tra la fame e la sete, sempre e solo nel segno della non violenza come unica via verso il futuro.
Perché l’unica vittoria, in quelle battaglie, era mettere al sicuro il futuro delle generazioni successive.
Il tentativo disperato di ottenere un mondo diverso, libero, migliore.
Marco Pannella ha avuto la funzione di garante della gente laggiù, nel covo del potere, laddove ogni giorno ha vegliato sulla libertà e il diritto di qualsiasi minoranza, degli ultimi, dei diversi.
Perché per Marco Pannella tutti sono nati uguali e tutti devono ottenere pari opportunità di crescita nella lunga e faticosa ricerca della propria felicità.
L’emancipazione è tutto.
Proviamoci oggi, proviamoci domani; insieme, senza dimenticare mai chi sia stato e che cosa abbia fatto per noi Giacinto Pannella detto “Marco”.