Anche il ritratto più violento e rapace, temporaneo e distruttore, fragoroso e iperbolico della velocità, verrà soggiogato dal tempo, che imperturbabile e impietoso lo consegnerà alla Storia.
La forza della ricerca risiede nel riportare in vita un determinato attimo e mostrarlo al mondo, dandogli un senso compiuto nell’oggi. E’ il compito del curatore, è il dovere di chi ama l’arte e la divulga come mezzo per conoscere l’identità del mondo. Perché “la verità, come l’arte, è nell’occhio di chi guarda” (per citare “Mezzanotte nel giardino del bene e del male” , romanzo di John Berendt adattato in maniera strepitosa per il grande schermo da Clint Eastwood, che ha dato un’immagine eterna a quella frase nelle sembianze di un Kevin Spacey in stato di grazia).
Questo arduo onere è stato brillantemente portato a compimento da Ada Masoero , curatrice e deus ex machina dietro le quinte dello straordinario percorso in mostra al Palazzo Blu di Pisa dall’11 Ottobre 2019 al 9 Febbraio 2020, sul FUTURISMO .
Un affresco che illustra in maniera perfettamente calata in tale stile le proprietà e le caratteristiche proprie di un tempo fiorente e oscuro, geniale e controverso, potenzialmente illimitato ed infine autodistrutto, di cui il Futurismo è stato in parte simbolo ed in parte contraddizione nei termini.
E’ il Febbraio del 1909 e in un caffè parigino mostra tutto il suo prorompente ed iconoclasta significato ontologico il MANIFESTO DEL MOVIMENTO FUTURISTA;
E’ redatto dall’intellettuale dissacrante per eccellenza, Filippo Tommaso Marinetti, e richiama con un proclama degno di un editto tutta la potenza, la forza e il vigore di un’epoca velocissima e dinamica, moderna e schierata, senza tentennamento alcuno, semplicemente “contro”.
E’ questo il ritratto del “Genio” italico, europeo ed internazionale: un essere umano che distrugge il paleolitico e pesante fardello di tutto ciò che è “vecchio” e si proietta come un missile nel futuro, che è ORA, oggi, in questo preciso istante.
Bando al classicismo, alle parole obsolete, ai corridoi bui e tetri delle accademie, al torpore religioso, all’ipocrita immobilismo pacifista, alla nobiltà vetusta ed ammuffita, al carattere decadente di un mondo sull’orlo della fine a causa solo di se stesso, perché incapace di guardare avanti.
E’ giunto il momento di evolversi, nei significati ma ancor di più, nell’elemento fondamentale del Futurismo stesso: nelle azioni.
Ecco di cosa è composta la mostra di Palazzo blu, tra i suoi padiglioni e le sue didascalie: non di quadri, di documenti, di testimonianze; non di banali e “solite” opere d’arte da galleria, no! Da “azioni” violente e temerarie!
Ogni pittura diviene un gesto, ogni scrittura diviene un grido, ogni architettura diviene uno slancio.
Cambia la terminologia perché dalla teoria bisogna passare ai fatti.
L’esibizione ci regala pezzi di assoluto pregio, per accompagnarci in questa linea di pensiero così rapida e veloce da doverla inseguire, ancor oggi, in un futuro così diverso da quello immaginato da Marinetti.
Iniziamo con la pittura, munita di manifesto tutto suo, firmato dagli artisti di punta di questa fenomenologia tutta tricolore: Balla, Boccioni, Carrà, Depero, Soffici, Severini…
Sono i custodi della velocità: loro è la missione di immortalare il “movimento” ed uccidere, distruggere, estinguere, la staticità della pittura vetusta e sorpassata.
I soggetti diventano gli uomini che corrono, gli atleti che trionfano, le masse che si spostano, ma l’obiettivo finale è uno: concedere l’immortalità tramite una nuova pittura del “sacro”. Ci possiamo chiedere quale possa essere la divinità del futurista, ed ecco la risposta: la MACCHINA.
La perfezione di una macchina, l’eternità di una macchina, il moto perpetuo ed instancabile di una macchina. Ecco la nuova devozione.
Il “nuovo” viene dipinto da questi maestri dal talento impressionante che non sono solo pittori, sarebbe riduttivo per l’uomo futurista, ma sono anche arditi, soldati, alpinisti, avventurieri, intellettuali, esseri neovitruviani alla scoperta dell’universo, perché il mondo non basterà più.
E, tra i quadri più rappresentativi di Futurballa e un memorabile modello scultoreo di Boccioni, passano video d’epoca dove i futuristi stessi decantano le loro gesta con un linguaggio mai sentito prima: “buuuuu” , “boom”, “sdereng”, “clang”, e altre onomatopee antesignane della comunicazione a fumetti che da lì a breve prenderà vita, in una sostanziale esemplificazione del gergo, davvero al passo coi tempi.
La struttura ossea su cui si regge la nascita di tutte le avanguardie è senza ombra di dubbio l’instabilità socio politico ed economica di inizio novecento: il tramonto del colonialismo, il crepuscolo delle monarchie, l’estinzione di un romanticismo oramai impraticabile nell’inquietudine umana generata dall’industrializzazione e terribilmente annunciata da Munch con il suo “Urlo” qualche anno addietro.
Tra surrealismo, dadaismo e futurismo c’è questo comune denominatore: dalle ceneri risorge sempre la fenice. E’ la ciclicità del mondo e della storia. E’ l’evoluzione umana. Ma prima, che ci piaccia o no, ci vuole sempre un’immane tragedia, un simbolico diluvio universale che segni la traccia tra il prima e il dopo: è tempo di guerra, la Prima Guerra Mondiale.
Il futurismo è dapprima irrredentista e da lì a poco fiero ed entusiasta interventista.
La comunicazione futurista allora si scaglia con violenza contro la staticità e l’immobilismo, prendendo una deriva che andrà oltre l’arte ma si amalgamerà con la politica e gli ideali, ancora abbozzati, del fascismo che verrà.
Nascono fratture interne al movimento, membri di spicco rinnegheranno, altri si faranno alfieri di questa nuova identità reazionaria e patriottica; sarà il caos, ma questo era stato predetto da Marinetti: senza la rabbia non ci sarebbe futurismo. Lo scontro è uno strumento fondamentale perché si arrivi fino alla Luna, fino a Marte, ovunque.
Nel 1912, poco prima dello scoppio del conflitto mondiale, vede la luce il Manifesto tecnico della scrittura futurista, sempre redatto dal pugno di Marinetti e sostenuto da Palazzeschi, Russolo, Dottori e naturalmente da tutti i pittori e architetti già aderenti al movimento. E, a proposito di architettura ed urbanistica, il visionario Antonio Sant’Elia, mente brillante, proclama il Manifesto dell’Architettura futurista, nel 1914, quasi come se fosse conscio dell’imminente disastro e della successiva necessità di una ricostruzione degli ambienti e delle infrastrutture, all’alba di un mondo nuovo.
Purtroppo la Storia ha parlato diversamente.
Gli avvenimenti tragici della Prima Guerra Mondiale si rivelarono in tutta la loro cruda negatività, in senso assoluto.
Non c’è stato spazio per gli entusiasmi covati dai futuristi poiché la ferita non era rimarginabile.
Nessuno avrebbe mai pensato a quali conseguenze avrebbe portato un conflitto di tale entità; e pensare, col senno di poi, che da lì a breve la distruzione sarebbe iniziata di nuovo, mille volte peggio della precedente, così vicina alla fine del mondo che oggi, appena settant’anni dopo, facciamo ancora fatica a capire “perché”.
Ma l’uomo futurista non si pone domande e sulle rovine del mondo cresce e si rafforza, ed ecco compiersi l’evoluzione del movimento: nascono nuove correnti poetiche, letterarie ma soprattutto pittoriche.
Perché, tra i tanti orrori passati, una buona notizia (per il futurista di sicuro) esisteva: il VOLO.
Fin dal 1903, con i fratelli Wright, il sogno di Leonardo si era avverato, ma la Prima Guerra Mondiale aveva creato i presupposti per rendere ordinario lo straordinario, vero l’impossibile. Fu così che l’arditismo raggiunse il suo livello più alto nella sperimentazione dell’aereo come mezzo per raggiungere l’agognato cielo e chissà, forse un giorno, lo spazio.
Tra le due guerre, un sussulto di gloria per l’umanità, un impeto di rinascita, una redenzione in vita: per nave si esplorano i poli, col dirigibile e con l’aereo si fanno transvolate leggendarie, con esiti eroici benché spesso dal tragico epilogo.
Comunque fosse finita, costoro erano eroi, perfetti esemplari di uomini in simbiosi con la propria macchina, padroni del mondo da qualsiasi prospettiva.
Si giunge dunque alla conclusione del percorso della mostra mettendo in luce una tecnica artistica visivamente impressionante, realizzata in un modo nuovissimo e sopraffino, testimone di queste temerarie avventure: l’aeropittura.
Glorificazione estrema per atti estremi, con delle iperboliche e vorticose prospettive, artisti come Prampolini, Mariani e lo stupefacente Tato (al secolo Guglielmo Sansoni) rendono omaggio all’avvenire con dei quadri dall’impatto ineguagliabile.
Ma tra questi spettacolari ritratti di volo, l’acume di Ada Masoero vuole instillare il seme del dubbio, vuole alimentare lo spirito critico nell’osservatore; e là nel mezzo, colorato e mimetizzato, compare il ritratto del Duce.
E’ un monito, un imparziale e doveroso passaggio per alimentare l’attenzione, fino a quel momento smorzata dalle irresistibili e iconiche pubblicità del Campari di Depero (simbolo anch’esso di un’epoca), verso la storia e la cronaca oggettiva degli eventi.
Perché con la fine dell’esposizione, dobbiamo uscire coscienti che il futurismo tanto ha dato all’avanguardia artistica italiana, ma anche che quella deriva iniziata con l’interventismo, è culminata con l’avvento del Fascismo.
Nel bene e nel male, il Futurismo ha contribuito dunque al cambiamento radicale dell’ingegno italiano.
Per sempre.
Vogliamo chiudere ringraziando tutto lo staff di Palazzo Blu, che con Vuemme è stato di grandissima disponibilità, nuovamente l’eccellente curatrice Ada Masoero, il Presidente Cosimo Bracci Torsi e la città di Pisa.
2019 Michele Simonetti for VUEMME
Photo credits: 2019 Giada Antonucci www.lefotodigiada.wordpress.com
Per tutte le info:
www.palazzoblu.it
www.futurismopisa.it