Partiamo dal presupposto
che di Jazz non so niente.
Sono completamente ignorante sul tema,
è un genere a cui mi sono avvicinato raramente e quelle volte in cui
è capitato, ho sempre fruito di ascolti mainstream, famosissime
canzoni che conoscerebbe chiunque si possa definire un amante della
musica “generalista” come può essere il sottoscritto. Per cui,
lungi da me voler recensire, commentare o criticare, sia
positivamente che negativamente, chicchessia si prodighi in tale
difficilissima disciplina.
Già, perché il tema su cui vorrei riflettere quest’oggi è il Lucca Jazz Donna 2019.
Appena concluso, con la nostra emittente Vuemme in qualità di Media Partner ufficiale, ho avuto modo di seguirlo da vicino e di scoprire, scalfendo appena la superficie di un universo così immenso, la magia di una musica straordinaria e l’umanità dirompente che gli dona vita.
La ragione in più, la particolarità, per non dire l’unicità di un evento del genere, è di certo la caratterizzazione tutta al femminile.
L’intuizione di Giampiero Giusti, decano del jazz made in Lucca, perpetrata nel tempo da Vittorio Barsotti, attuale Presidente del Circolo Lucca Jazz, attivo ormai da decenni nella sensibilizzazione verso questo genere musicale, è stata proprio questa: realizzare una rassegna di musica jazz con il comune denominatore della figura femminile al centro del palco. Un’idea degna dell’intelligenza e dell’acume di questa splendida persona, che ho avuto il piacere di conoscere personalmente, e dalla quale non possiamo far altro che imparare l’arte del sacrificio e dell’impegno, ma soprattutto apprezzarne la lungimiranza, in termini artistici e di impegno sociale.
Lucca Jazz Donna ne è la conferma assoluta. Edizioni dopo edizioni, il festival ha avuto una crescita esponenziale, sia in termini di risposta del pubblico ma anche dal punto di vista artistico: una mole di nomi di caratura internazionale si sono susseguiti sui palchi più suggestivi della città, allestiti in location di grande finezza e spessore, deliziando gli animi degli appassionati e non solo, creando un sostrato culturale ormai davvero radicato a Lucca, vero e proprio punto di riferimento globale per la musica Jazz.
Un lavoro enorme, se consideriamo che questo circolo è un’associazione culturale, e posso dirvi per esperienza personale quanto possa essere difficile, al limite dell’impossibile, realizzare qualcosa di così impegnativo quando le idee sono tante ma nella concretezza siamo solo umili volontari, con dentro una grandissima passione, atti a fronteggiare muraglie apparentemente insormontabili di natura burocratica, economica e organizzativa.
Eppure, ce l’hanno fatta; eccome se ce l’hanno fatta. Merito dell’impegno, merito delle capacità, senza dubbio merito dello spirito di partecipazione davvero commovente che ha spinto tutte queste artiste a mettersi in gioco in qualcosa in cui credere davvero, aldilà del business, aldilà di tutto.
E’ il solo fatto di essere donne; la straordinaria sensibilità che ha creato i presupposti per un evento solidale, partecipato, comune, fortemente voluto da chiunque calcasse i palchi di queste serate uniche.
Una peculiarità che funge da simbolo per l’intera manifestazione: la presenza, ad ogni serata, di un’associazione di tutela sociale.
Perché in fondo l’obiettivo solidale del Lucca Jazz Donna è raggiungere e colmare appieno il significato della parola “dignità”. E’ da questo, oltre che dalle sette note, che scaturisce un capolavoro.
Tutto è iniziato a Palazzo Ducale; incastonati tra gli affreschi e gli spazi prospettici di Sala Staffieri, un tesoro architettonico dall’inestimabile valore, situazione intima e perfetta per dare il benvenuto agli astanti, palati fini e menti colte, giunti per cogliere ogni aspetto di questa manifestazione, con buon gusto, spirito partecipativo e grande compostezza. Un festival tutto al femminile che si riassume in una figura chiave; la grande maestra di cerimonie, presentatrice esperta e ferratissima nella materia: l’eclettica e instancabile Michela Panigada; l’autentico fulcro del Circolo Lucca Jazz, che ha dato voce, metodo ed organizzazione ad ogni serata, non soltanto come moderatrice ma anche come vera rappresentazione di come l’essere donna può e debba riempirsi di significato. Michela ci accompagnerà per tutta la rassegna, ogni sera, sempre presente e sempre impeccabile.
Il mio primo impatto col jazz si consuma tra le note del Maestro Pierannunzi che accompagna l’eccellente voce di Valentina Ramalli; il loro connubio è fresco e grazie al cielo non mi colpisce niente di traumatico; sì perché, parlando di jazz così esclusivo, ero tormentato fin dal pomeriggio che tale musica si opponesse alla mia ignoranza, ferma al massimo a Nat King Cole o alle sperimentazioni di David Sylvian (ascolti che poi, con gran sorpresa, mi aiuteranno nello svolgersi del festival). Invece fila tutto liscio, anche dopo, con l’esibizione ipnotica di una band londinese capitanata da un’artista davvero particolare: Maria Chiara Argirò. Una ragazza giovane, intelligente, avanti anni luce. Un suono diverso, forse più complice con la mia formazione musicale, ha saputo amalgamare elementi di elettronica e fusion con una delicatezza sottile. La serata si conclude dinnanzi a Valentina Gullace, personaggio teatrale e televisivo già ben affermato, che porta sul palco una situazione da speakeasy, molto fine e dall’aria vintage: squisita.
Torno a casa motivato
a seguire questo fantomatico “jazz” in tutte le variazioni che
queste donne potranno portare nelle serate successive e giungo con
ansia alle porte del Teatro Artè, la settimana successiva, per
vivere appieno due serate che, posso ad oggi ben dire, non hanno
deluso alcuna mia aspettativa, anzi.
Tutto inizia con il vestito
rossissimo di Chiara Stroia, che reinterpreta Mina e inonda la
gremita platea capannorese di brividi e vibrazioni. Segue la
giovanissima Evita Polidoro con il suo ensamble altrettanto fresco e
in questo caso mi sono reso conto che per gli spettatori più
classici e puristi, qualcosa poteva non arrivare; è stata la mia
fortuna: un’adolescenza spesa ascoltando di tutto mi ha riportato
alla memoria il caro vecchio Noise, con i Fugazi, gli Helmet, i Sonic
Youth e sì, dentro l’ipnotico crescendo delle ritmiche di Evita e
dei suoi talentuosissimi compagni, c’era tutta quella sperimentazione
sonora che rende il jazz, ora ne ho conferma, una forma di musica
davvero immortale, in continua evoluzione. La serata si conclude con
qualcosa di completamente diverso: un progetto maturo e
controcorrente, dal sapore antico e dalle sonorità marcatamente
black, complice la voce spiazzante di Cristina Russo, in compagnia
della Neosoul Combo, una band che ha come punto fermo la personalità
poliedrica di Marco Di Dio, producer, batterista e songwriter di
grande spessore. Questo gruppo si impadronisce degli animi presenti
grazie ad una escursione nel soul che conferma la tesi per la quale
la musica è sempre e comunque contaminazione.
Soltanto
ventiquattrore dopo, i portoni di Arté si aprono di nuovo e ospitano
due performance al cospetto dello strumento musicale per definizione:
il pianoforte.
Per primo, qualcosa di mai visto, almeno per me:
una sonata a quattro mani di Stefania Tallini e Cettina Donato; da
brividi vedere come la sinuosa figura di queste due splendide
musiciste si muovesse all’unisono tra le note e i gesti, gli sguardi
e l’intesa perfetta. Il secondo omaggio al piano viene messo in
musica da Silvia Manco, un’artista di grande esperienza che ci ha
accompagnati in un percorso alla riscoperta di Blossom Dearie
(ammetto, è stata la prima volta che ne ho sentito parlare, e ne
sono davvero grato, perché approfondendo ho scoperto quale
grandissima artista è stata omaggiata).
Passa un po’ di tempo e mentre digerisco questa immensa mole di informazioni musicali che nuove mi giungono tra l’orecchio e il cervello, ci prepariamo ai prossimi appuntamenti del Lucca Jazz Donna.
Dove, se non al Real
Collegio? Un luogo simbolo; il “posto delle fragole” per
elezione.
E qui, con dispendio di energie notevole da parte di
organizzazione, service audio e anche di noi, ragazzacci di Vuemme,
si sono susseguiti, per un weekend lungo e coinvolgente, artisti
davvero interessanti.
L’esperimento del giovedì sera è iniziato
col timore che il pubblico potesse risultare esiguo: fortunatamente
non è andata così. Ciò è segno di interesse e partecipazione
della cittadinanza ma anche del grande lavoro di comunicazione
adoperato con certosina puntualità da Anna Benedetto, neanche a
dirlo donna, certamente elemento fondamentale per la riuscita del
festival nella sua pienezza. E a lei diciamo grazie, un grazie
enorme, per la sua disponibilità circa le questioni logistiche e
amministrative, sempre così spinose ma necessarie per la buona
riuscita di una kermesse di tale portata. Metterci tutti d’accordo è
un bel da fare, vero Anna?
La musica, invece, ce l’hanno messa
loro: le artiste. Splendide, forti, decise. Alea and the Sits ci
racconta “Generations”, un excursus lungo un secolo tra musica e
stelle. E’ la volta di Irene Scardia, produttrice, attrice,
discografica, talent scout ma soprattutto musicista di enorme valore,
che si siede lì, da sola, in compagnia solo e soltanto del suo fido
pianoforte: ed è subito Jazz. Il destino della serata si compie con
Estrela Guia, un progetto davvero unico a cura di Veronica Farnararo,
grazie alla quale riesco a comprendere il connubio tra jazz e musica
brasiliana; sapevo che la bossanova aveva forti influenze jazz e mi
sono sempre chiesto quali fossero le origini di questo flusso
panamericano. La risposta è la musica “lusofona”, cioè di
lingua e tradizione portoghese, che parte da lontanissimo, dal
medioevo, e si sviluppa intrecciandosi agli stili di ogni luogo dove
l’indole esploratrice lusitana ha messo radici ed esportato la
propria cultura.
Arriva il venerdì, e da sempre nei locali di
Chicago, di New York, di Parigi, il friday night è sinonimo di “Big
Jazz Night”: dunque, sempre al Real Collegio, l’impetuosa energia
umana di Vittorio Barsotti e compari ci regala una serata davvero di
livello internazionale, con ben quattro artiste dal nome e dalla
portata di grande rilievo. E’ la notte di Giuliana Soscia, col suo
tributo alle donne del Jazz; un’autentica mattatrice del
palcoscenico, una professionista di comprovata fama, che ha subito
elettrizzato la sala. Segue “Dalia”, un progetto fiorentino della
nostra conterranea Sara Battaglini: sound dolce e delicato,
impeccabile e padrone di uno stile davvero ragguardevole.
Il terzo “set” (così
si chiamano le esibizioni in “gergo” jazzista, non si smette mai
di imparare), si ricollega nuovamente al mio background musicale:
Serena Spedicato, con una band tecnicamente impressionante, si
cimenta in un omaggio a David Sylvian, uno dei miei idoli, e al suo
periodo più fusion, naturalmente in compagnia di Sakamoto, in quel
periodo di fermento artistico e ispirazione straordinario e
irripetibile che ha dato vita a “The Shining of Things”, nome
utilizzato dalla stessa artista per intitolare la sua esibizione.
Beh, francamente si è discostato molto dal Sylvian a cui sono
abituato, ma la mia ignoranza non mi dà alcun diritto di giudizio.
Posso solo dire che, nella loro ricerca sonora davvero sperimentale e
complessa, di cui tutto il pubblico è rimasto rapito, forse si sono
dilungati un po’ troppo, togliendo minuti preziosi all’Ajugada
Quartet che, invece, aveva diritto a proporsi con lo stesso
minutaggio. Ma noi apprezziamo quel poco che ci hanno regalato e
anche qui, le quattro splendide Antonella Vitale, Gaia Possenti,
Giulia Sansone e Danielle Di Maio, artiste di grande pregio prese
singolarmente, si sono unite per regalarci “Hand Luggage”,
bagaglio a mano: un viaggio sonoro nelle contaminazioni del jazz,
ritornando spesso sui sentieri sudamericani e lusitani, tra samba e
bossanova; arrangiamenti davvero particolari.
E’ Sabato sera e
per noi di Vuemme l’avventura terminerà qui. Purtroppo non siamo
stati presenti al gran finale nella Chiesa di San Francesco, dove si
sarebbero esibite le Sorelle Marinetti e avremmo di certo assistito
ad un commiato da fuochi d’artificio, ma il lavoro è volubile e
mutevole; il destino altrettanto.
Allora è valsa la pena
godersi l’ultimo concerto al Real Collegio, con una serata Easy
Listening, tutta all’insegna dei duetti; gli storici “duets”
davvero molto cari alla scena Jazz americana. Un peccato la defezione
di Baraba Eramo, a cui facciamo un grande in bocca al lupo per il
proseguo dei suo tour in tutta Italia, sostituita da una splendida
sorpresa, un omaggio a Lucca: Daniela Acquaviva e Lucia Coli,
jazziste “local”, con “Freekey Sound Duo”, portano alto il
nome della nostra città facendoci viaggiare nel tempo, alla ricerca
di un passato così dolce e delicato, nelle voci femminili più
suggestive della Storia. Sale dunque sul palco Ileana Mottola con il
maestro Antonio De Luise, presentando il progetto “All My
Tomorrows”, solo una delle migliaia di idee che la rilucente
Mottola porta in giro per l’Italia e mette in musica con una passione
ed una capacità canora davvero mirabili. E, prima di smontare le
nostre telecamere e poter tornare a casa a riflettere su questa
gratificante esperienza così piena di vita…si conclude la serata
tra le mura del Real Collegio con “Le Valentine” (aka Valentina
Rossi e Valentina Cesarini) l’una alla voce e l’altra, pensate un
po’, alla fisarmonica. Un’altra grande, graditissima scoperta. La
fisarmonica è uno strumento estremamente jazz, perché polifonico,
teoricamente infinito; una perfetta sintonia con la voce oserei dire
neurale dell’altra Valentina, che porta il sound su di una nuova
dimensione.
Cala il sipario e si spengono le luci, non prima di
fare il punto su una questione che, come accennavo sopra, mi ha
davvero convinto in termini di organizzazione: la sensibilità del
Circolo Lucca Jazz nei confronti del sociale e della solidarietà.
Perché, ci teniamo a ripeterlo, il principio base su cui si fonda
questo festival è l’inclusione, la tolleranza, la dignità. In una
parola, il futuro.
Quello che ci auguriamo per i nostri eredi.
E’ stato dunque un gesto che ritengo perfetto quello di inserire
per ogni concerto, un’associazione volta alla tutela dei fondamentali
valori umani.
La prima sera abbiamo avuto il Centro Antiviolenza
Luna, una lodevole realtà che si occupa di recuperare e reinserire,
proteggere e tentare di dare nuova luce a donne vittime di violenza.
E’ un luogo sicuro, un’ancora di salvezza di cui purtroppo c’è una
grande necessità. Vorremmo quasi che non esistesse un’associazione
del genere, ma il mondo è ben più sporco della musica jazz, e non
ha molta pietà. Per questo esistono gli angeli di questo centro,
persone davvero coraggiose a cui va il nostro plauso più sentito.
Nelle sere a seguire abbiamo avuto la LAV di Lucca, con il loro
quotidiano impegno a tutela degli animali; l’Anpana di Lucca, organo
di protezione civile che si fregia di avere un sistema di ricerca e
soccorso dedicato agli animali durante le catastrofi; l’AISM, con il
cui presidente Andrea Cupini e vicepresidente Nicola Gori ho avuto la
fortuna di fare una chiacchierata che presto riporteremo sui nostri
canali web e social; l’UNICEF, che non ha certo bisogno di
presentazioni per quanto riguarda il quotidiano impegno noto in tutto
il mondo, e infine la Croce Verde, di cui ho orgogliosamente fatto
parte in passato, che ogni giorno si prodiga in una moltitudine di
attività sociali e sanitarie che concorrono al welfare del
territorio, spesso ben oltre certe istituzioni pubbliche.
Per salutarci vorrei, a nome di tutto lo staff di Vuemme, porgere i miei più sentiti ringraziamenti e omaggiare del più sincero rispetto il Signor TOBIA, l’anima del circolo Lucca Jazz, un Signore con la S maiuscola, di grande nobiltà d’animo e dall’infinita umanità, per il quale nutro grande affetto personale.
Un abbraccio grande a tutti.
Grazie al Lucca Jazz Donna.
Grazie a tutte le
meravigliose artiste che ci hanno accompagnati in questo grande
viaggio.
Essere testimoni di questa esperienza è davvero una grande fortuna.
Bellissimo report
Onorato di averVi conosciuto e condiviso con voi emozioni importanti!
GRAZIE
Fabrizio Salvatore
AlfaMusic